lunedì 5 novembre 2012

Svista

Buongiorno mattinieri!
Io non lo sono, ma oggi mi è toccato esserlo. Quando ero una bambina mi svegliavo sempre presto la mattina, non riesco a capacitarmi di come ci riuscissi: sicuri che fossi io? Non è che sono stata scambiata con qualcun’altra, nel frattempo?
Però, sono sempre stata una “nottambula”. Mi svegliavo verso le due di notte, saltavo sul letto dei miei genitori, con una bambola o un peluche, esclamando: “Giochiamo!”. Per il resto, ero una brava e buona bambina… più o meno. È solo che mi annoiavo!
Dunque, ieri ho fatto qualche piccolo passo in avanti nella lettura di DELITTO E CASTIGO. Sono a metà del secondo capitolo della parte quarta. Ieri ho un po’ giocato con i nomi e la storia del romanzo, ma oggi sarò un po’ più seria: la psicologia dei personaggi, soprattutto del protagonista, è qualcosa d’incredibile. Nemmeno Freud avrebbe saputo fare di meglio! (Considerate, inoltre, che Dostoevskij nasce trentacinque anni prima di Freud e pubblica DELITTO E CASTIGO quando il secondo aveva appena dieci anni). Il delitto commesso potrebbe far pensare ad un “giallo”, ma è decisamente un romanzo psicologico; il che gioca a suo favore, perché li prediligo ai gialli. Anche se racconti gialli come quelli di Edgar Allan Poe, non sono carenti in questo, anzi… Ma ne parleremo meglio quando arriverò al numero a lui preposto nella nostra lista di letture per 365 giorni.
Raski è sempre più paranoico. Crede che tutti sappiano ciò che ha fatto e qualcuno lo sospetta per davvero, ma non ha prove. Da un lato si compiace della riuscita del suo piano e della sua intelligenza nel capire a volo le intenzioni del prossimo, in questo è davvero bravo; dall'altro lato è pentito, è distrutto, è ammalato… Alcuni cominciano a pensare che stia impazzendo e quasi lui vorrebbe che fosse così; a pagina 230, all’amico che cerca in tutti i modi di difenderlo da chi sospetta di lui, dice: “E chi lo sa! Forse io son pazzo davvero, e tutto quel che è accaduto in questi giorni, è stato un frutto della mia immaginazione…”; ma fantasia non è.
L’amico (che per i motivi di ieri, chiameremo Ramy) è un tipo leale e giusto. È indignato da chi ha osato sospettare dell’amico compiere un atto tanto malvagio, e per la prima volta dal giorno dell’omicidio, Raski incomincia a domandarsi cosa penserà Ramy di lui quando saprà ciò che ha fatto…

Introdurrò oggi un altro personaggio che – sempre per i soliti motivi – chiamerò Svista.
Svista aveva una moglie, chiamata da me Maria, che tempo addietro, prima del matrimonio, lo salvò da un’accusa di omicidio, pagando il riscatto e evitandogli la prigione in Siberia. La sorella di Raski, Dunja (questo è il suo vero nome!), era la domestica – o qualcosa del genere – in casa dei coniugi Maria e Svista. Svista si prese una bella cotta per lei e cercò di convincerla a scappare con lui. Lei si rifiutò. Maria scoprì tutto e si arrabbiò. In che modo e in quale scandalo la coinvolse, lo lascerò scoprire a voi! 
Dunja lasciò la casa, ma Maria, dopo aver capito che la colpa era solo di Svista, le trovò marito. Un suo parente, Lupin (nome scelto da me!), un signore molto ricco ma assai antipatico. Dunja lo sposerebbe solamente per la famiglia, per salvarli dalle difficoltà economiche. Questa decisione di Dunja, è la molla che spinge Raski a commettere l'omicidio che poi non servirà a salvare nessuno dai debiti… Comunque, questo Svista è arrivato a Pietroburgo per parlare con Raski e sperare d’incontrare Dunja, della quale, dice, non è più innamorato, infatti, si sta per sposare con un’altra ragazza (Maria, nel frattempo, è morta).
Svista, come anche Raski, non vuole che Dunja sposi Lupin per il denaro e vorrebbe dare a lei l’eredità ricevuta da Maria. Raski non vuole sentirlo parlare, è un tipo strano, lo trova anche più pazzo di lui, vede il fantasma di sua moglie che due volte soltanto – si "giustifica" – ha picchiato in vita… Tre volte, se contiamo una che dice che non conti granché…

Svista, a pagina 223, inizia a filosofeggiare:

“…Quel documento non mi dava fastidio. 

Non avevo voglia d’andare in nessun 

posto. Màrfa Petròva m’invitò un paio 

di volte a fare un viaggio all’estero, 

vedendo che m’annoiavo. Macché! 

All’estero c’ero già stato, 

e m’era venuto il disgusto. 

Guardi l’aurora che spunta,

il golfo di Napoli, il mare, 

e ti viene la malinconia. 

La cosa più uggiosa è la malinconia 

che t’assale senza che tu sappia 

il perché! 

No, nel proprio Paese si sta meglio; 

in patria si dà tutta la colpa agli altri 

e si trovano scuse davanti a se stesso…” 

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