venerdì 30 novembre 2012

Con "Cime Tempestose" capisci che Giulietta e Romeo sono stati fortunati!

Buongiorno Civettuoli!
Non mi sono dimenticata della sfida, anche se non scrivo da più di una settimana. Negli ultimi giorni, le ore a mia disposizione per la lettura, le ho invece dedicate alla scrittura… e, perciò, la lettura di David Copperfield va un po’ a rilento. In condizioni normali, è un romanzo che scorre velocemente. Sin dalla prima pagina, le descrizioni di Charles mi hanno come incantata: immersa immediatamente nell’ambientazione. L’ultima volta che ho letto di Davide (perché tutti i nomi del libro che possiedo, sono stati trasformati nella loro versione in italiano. Un tempo era solito farlo, anche per gli autori che, in questo caso, Charles nella biografia viene qui chiamato Carlo) si era messo in viaggio alla ricerca della zia perduta, dopo che si era fatto fregare – di nuovo! – denaro e bagagli.

Oggi, dunque, andrò indietro nel tempo; precisamente viaggerò fino a febbraio 2009, quando finii di leggere il numero 32 della nostra lista.

Il numero 32 è CIME TEMPESTOSE di Emily Brontë.



Trovai il primo capitolo una vera calamita, ma le aspettative che mi lasciò furono deluse. Il primo capitolo mi portò decisamente fuori strada, ma, in seguito, certe frasi del romanzo scavarono nel mio animo romantico, esaltandolo, coccolandolo, vezzeggiandolo. Ma non vorrei ingannarvi, è una storia tremendamente drammatica; in confronto “Romeo e Giulietta” non finisce poi tanto male… Ha il sapore di una tragedia antica, ma romanzata. I protagonisti non fanno che commettere errori e lasciare dietro di sé sangue e morte, per un amore mai vissuto… Almeno, Romeo e Giulietta si sposarono e vissero una notte insieme, se pure soltanto una… Giulietta non sposa Paride. Romeo non sposa la sorella di Paride per vendetta. Giulietta non ha una figlia da Paride che Romeo manipola per farla sposare al figlio che ha avuto dalla sorella di Paride. Però, come Romeo e Giulietta, Catherine e Heathcliff non possono continuare a vivere se l’altro muore… o morte o pazzia. Heathcliff sceglie una furente pazzia, per un po’…
Certe frasi di CIME TEMPESTOSE sono piuttosto celebri. Vi riporterò frammenti di pag. 98 /103, ovvero il dialogo tra Catherine e Nelly.

“… - Perché lo amate, signorina Cathy?
– Che sciocchezze, lo amo.. e tanto basta. 
- Nient’affatto; perché?
- Perché è bello, e di buona compagnia.
- Male!
- Perché è giovane e allegro.
- Peggio ancora.
- E perché mi ama.
- Il che non ha la minima importanza.
- Diventerà ricco, e a me piace l’idea d’essere la più gran dama dei dintorni, e sarò fiera di avere un marito come lui.
- Peggio che mai! E ditemi; come lo amate?
- Come ama chiunque… Sei una sciocca, Nelly!
- Nient’affatto… Rispondete.
- Amo la terra sotto i suoi piedi, e l’aria che respira, e tutto quello che tocca e che dice… Amo il suo aspetto, le sue azioni, amo tutto quanto in lui. Ecco!
- E perché?
- Oh… per te è tutto uno scherzo; sei cattiva! Non è uno scherzo, per me!
(…) – Non scherzo affatto signorina Catherine. Voi amate il signor Edgar perché è bello, giovane, allegro e ricco, e perché vi ama. E quest’ultima cosa non ha valore, perché probabilmente l’amereste anche se non vi amasse; mentre non l’amereste se vi amasse senza possedere le altre quattro doti (…) Ma il mondo è pieno di altri giovanotti ricchi e attraenti, probabilmente più ricchi e più attraenti di lui. Cosa v’impedisce di amare anche loro?
- Se ce ne sono, io non li ho mai incontrati… Non conosco nessuno come Edgar.
- Potrebbe capitare d’incontrarli; e lui non sarà sempre giovane e attraente, e forse nemmeno ricco.
- Ma lo è adesso; ed è il presente che m’interessa… Vorrei che tu parlassi in modo più ragionevole.
- Bene, dunque: il problema è risolto. Se è solo il presente che v’interessa, sposate il signor Linton.
- Non ho bisogno del tuo permesso per sposarlo! Però non mi hai ancora detto se ho fatto bene.
- Benissimo; se ci si deve sposare pensando solo al presente. E ora sentiamo, cos’avete da essere infelice. Vostro fratello sarà contento, e non penso che il signore e la signora Linton avranno da obiettare… Lascerete una casa disordinata e cupa per entrare in una ricca e rispettabile; amate Edgar ed Edgar vi ama… Sembra filare tutto liscio… dov’è il problema?  
- Qui! È qui!, ribatté lei battendosi una mano sulla fronte e l’altra sul petto. - Dovunque si trovi l’anima, perché la mia anima e il mio cuore mi dicono che sbaglio!
- Questo sì che è strano, proprio non capisco!
- È il mio segreto; e se prometti di non prendermi in giro, te lo spiegherò. Non so farlo con parole chiare, ma cercherò di darti un’idea di quello che provo (…) Hai mai fatto sogni strani, Nelly? (…) A volte ho fatto sogni che mi sono rimasti dentro e hanno cambiato il mio modo di pensare; mi hanno attraversata come il vino attraversa l’acqua, trasformando il colore della mia mente. E questo… ora te lo racconterò, ma bada di non sorridere (…) Se fossi in paradiso, Nelly, sarei molto infelice.
- Perché non siete degna di andarci, risposi. – Tutti i peccatori sarebbero infelici in paradiso.
- No, non per questo. Una volta ho sognato di esserci… (…) Il paradiso non sembrava adatto a me. Piangevo da spezzare il cuore perché volevo tornare sulla terra, e alla fine gli angeli si arrabbiarono tanto che mi scaraventarono giù, in mezzo all’erica che cresce sopra Cime Tempestose; e là mi svegliai piangendo di gioia. Tanto basterà a svelarti il mio segreto, e anche il resto. Il mio posto non è al fianco di Edgar Linton più di quanto non sia in paradiso; e se quell’uomo malvagio chiuso là dentro non avesse spinto Heathcliff così in basso, non mi sarebbe mai venuto in mente. Ma ora per me sposare Heathcliff significherebbe degradarmi, perciò non gli dirò mai quanto lo amo; e non perché sia attraente, Nelly, ma perché è me più di quanto lo sia io stessa. Di qualunque sostanza siano fatte le anime, le nostre sono uguali, mentre quella di Linton è diversa, come un raggio di luna è diverso dal lampo, o il ghiaccio dal fuoco. (…) Voglio ingannare la mia coscienza inquieta, e convincermi che Heathcliff non sa niente di tutto questo… È così, vero? Non sa che cosa significhi essere innamorati…
- Non vedo perché non dovrebbe saperlo proprio come voi, replicai. – E se ha scelto voi, sarà l’uomo più infelice al mondo! Appena diventerete la signora Linton, perderà amicizia, amore, tutto! Avete pensato a come potreste sopportare la separazione? E a come lui potrà sopportare di essere abbandonato? Perché, signorina Catherine…
- Abbandonato! Separazione!, esclamò sdegnata. – E chi potrà separarci? Incontrerebbe il destino di Milone! Non fin quando avrò vita, Ellen, e per nessuno al mondo! Tutti i Linton possono scomparire dalla faccia della terra, prima che acconsenta a dimenticare Heathcliff. No, non è questo che voglio! Non diventerei mai la signora Linton a questo prezzo! Edgar dovrà sbarazzarsi della sua antipatia per lui, o almeno tollerare la sua presenza, e lo farà di sicuro quando capirà quello che provo per Heathcliff. Oh, Nelly, ora capisco, mi giudichi una terribile egoista, ma non hai mai pensato che se Heathcliff e io ci sposassimo, saremmo poveri in canna? Mentre, se sposo Linton, potrò aiutare Heathcliff a risollevarsi e sottrarlo alla prepotenza di mio fratello. 
- Con i soldi di vostro marito, signorina Catherine? Non vi sarà facile convincerlo, e anche se non tocca a me giudicare, questo mi sembra il peggiore dei motivi per sposare il giovane Linton.
-  Anzi! È il migliore! Gli altri miravano a soddisfare i miei capricci o i desideri di Edgar. Questo, invece, è per il bene di chi riunisce nella sua persona i miei sentimenti per Edgar e per me stessa. Non so come spiegarlo; ma certo anche tu sai che c’è, o dovrebbe esserci, una vita al di là di noi stessi. A che servirebbe l’avermi creata, se fossi tutta qui? I miei più grandi dolori sono stati i dolori di Heathcliff, e tutti li ho conosciuti e provati fin dal principio; è lui la mia ragione di vita. Se tutto il resto perisse, tranne lui, continuerei a esistere; e se tutto il resto rimanesse, e lui fosse annientato, l’universo mi sarebbe estraneo. Non ne farei più parte. Il mio amore per Linton è simile alle foglie dei boschi. So che il tempo lo muterà, come l’inverno muta gli alberi… ma il mio amore per Heathcliff somiglia alle rocce eterne sotto di noi… una sorgente di gioia poco visibile, ma necessaria. Nelly, io sono Heathcliff… lui è sempre, sempre nella mia mente… non come un piacere, non più di quanto io sia un piacere per me stessa, ma come il mio stesso essere, perciò non parlarmi di separazione… è impossibile, è…” 

venerdì 16 novembre 2012

Ai lavori forzati...


Bonsoir!

Volevo cambiare genere, magari scegliere un romanzo fantascientifico, ma ho trovato in casa “David Copperfield” e ieri sera, tra lampi, tuoni, vento forte e la corrente elettrica che mancava, non sapendo che altro fare, ho iniziato a leggerlo con una torcia in mano. E' una copia di mia madre, ben curata come i libri di un tempo, con tanto di foto dei personaggi immaginari. Mi piace un casino il profumo di carta "vecchia" che e emana... Credo che anni fa provai a leggerlo, c'è un segnale a pagine 43, ma non ne ho memoria. Forse, quel segnale era di mia madre... 

DAVID COPPERFIEDL è il numero 42 della nostra lista.

Charles Dickens nacque duecento anni, nove mesi e nove giorni fa. Scrisse il suo primo romanzo a ventuno anni e, come è scritto nella sua biografia ad introduzione del romanzo, “combatté accanitamente, nelle sua opera di scrittore, l’ipocrisia, i cattivi costumi ed i numerosi difetti della società di allora”. Mi sta già piuttosto a cuore…

Fëdor Dostoevskij lesse “DAVID COPPERFIELD” nel campo di prigionia in Siberia e ne rimase affascinato (già, sembra che inconsciamente sto continuando a proseguire sullo stesso filo!). Sapete che a Dostoevskij è stato dedicato un cratere sulla superficie di Mercurio? Chissà cosa ne penserebbe…
Fëdor, prima di scrivere DELITTO E CASTIGO, venne arrestato per partecipazione a società segreta con scopi sovversivi e condannato alla pena di morte nel 1849. Lo zar Nicola I cambia la sua condanna di morte in lavori forzati a tempo indeterminato, ma a Fëdor viene comunicato solamente sul patibolo, nonostante si sapesse già da giorni la sua nuova sorte. Ciò, com’è evidente, segnerà molto lo scrittore portandolo a riflettere sulla pena di morte e a scriverne spesso sulla propria contrarietà. Venne, poi, liberato per buona condotta nel 1850 per scontare, infine, il resto della condanna come soldato semplice.
Su DELITTO E CASTIGO,  al capitolo sesto della parte seconda, Raski pensa: “Dove ho letto che un condannato a morte, un'ora prima di morire, dice o pensa che se gli fosse toccato vivere su un’alta cima, su una roccia, o su di uno spiazzo tanto stretto da poterci posare soltanto i suoi due piedi - e intorno a lui ci fossero degli abissi, l’oscurità eterna, un'eterna solitudine e una eterna tempesta – e dovesse rimaner così, in un arscin di spazio, per tutta la vita, per mille anni, in eterno – preferirebbe vivere in quel modo che morire subito? Pur di vivere, vivere, vivere! Vivere come che sia, ma vivere!... Che verità! Che verità! Signore! È vile l'uomo!... Ed è vile chi per questo lo chiama vile”.

Anche Oscar Wilde fu condannato a due anni di lavori forzati… James Joyce scrive un articolo sulla sua vita, pubblicato il 24 marzo 1909 sul “Piccolo della Sera”, un giornale di Trieste. Un articolo scritto in italiano dallo stesso autore. Leggerlo mi ha fatto commuovere e interrogare più del romanzo e, mi rendo conto, che nei panni di Oscar non mi farebbe per nulla piacere; ma, come giustificazione, si può dire che è difficile restare impassibili alle parole di James, scrittore non da meno degli altri sopra citati. E mi fa uno strano effetto scoprire di questi grandi autori che si son letti l’un l’altro e, in qualche modo, si sono difesi e protetti, anche senza conoscersi personalmente, apprendendo vicendevolmente dalle letture di ciò che scrivevano; ma, gli scrittori d’oggi, lo fanno anche loro?

Oscar Fingal O'Flahertie Wills Wilde. Tali furono i titoli altisonanti ch'egli, con alterigia giovanile, volle far stampare sul frontespizio della sua prima raccolta di versi e con quel medesimo gesto altiero con cui credeva nobilitarsi scolpiva forse in modo simbolico, il segno delle sue pretese vane e la sorte che già l'attendeva. Il suo nome lo simboleggia: Oscar, nipote del re Fingal e figlio unigenito di Ossian nella amorfa odissea celtica, ucciso dolorosamente per mano del suo ospite mentre sedeva a mensa: O'Flahertie, truce tribù irlandese il cui destino era di assalire le porte di città medievali, ed il cui nome, incutendo terrore ai pacifici, si recita tuttora in calce all'antica litania dei santi fra le pesti, l'ira di Dio e lo spirito di fornicazione "dai feroci O'Flahertie, libera nos Domine". Simile a quell'Oscar egli pure, nel fior degli anni, doveva incontrare la morte civile mentre sedeva a mensa coronato di finti pampini e discorrendo di Platone: simile a quella tribù selvatica doveva spezzare le lance della sua facondia paradossale contro la schiera delle convenzioni utili: ed udire, esule e disonorato, il coro dei giusti recitare il suo nome assieme a quello dello spirito immondo.


Il Wilde nacque cinquantacinque anni fa. Suo padre era un valente scienziato, ed è stato chiamato il padre dell'otologia moderna: sua madre partecipò al movimento rivoluzionario letterario del '48, collaborando all'organo nazionale sotto lo pseudonimo di Speranza con le sue poesie e con articoli incitanti il popolo alla presa del castello di Dublino. Ci sono delle circostanze riguardanti la gravidanza di Lady Wilde e l'infanzia del figlio che, al parer di alcuni, spiegano in parte la triste mania (se cosi è lecito chiamarla) che lo trasse più tardi alla rovina, ed è certo almeno che il fanciullo crebbe in un ambiente di sregolatezze e di prodigalità. 

La vita pubblica di Oscar Wilde si aperse all'Università di Oxford ove, all'epoca della sua immatricolazione, un solenne professore di nome Ruskin, conduceva uno stuolo di efèbi anglosassoni verso la terra promessa della società avvenire, dietro una carriola. 

Il temperamento suscettibile di sua madre riviveva nel giovane; ed egli risolse di mettere in pratica, cominciando da se stesso, una teoria di bellezza in parte derivata dai libri di Pater e di Ruskin ed in parte originale. Sfidando le beffe del pubblico proclamò e praticò la riforma estetica del vestito e della casa. 

Tenne dei cicli di conferenze negli Stati Uniti e nelle province inglesi e diventò il portavoce della scuola estetica, mentre intorno a lui andava formandosi la leggenda fantastica dell'apostolo del bello. Il suo nome evocava alla mente del pubblico un'idea vaga di sfumature delicate, di vita illeggiadrita di fiori: il culto del girasole, il suo fiore prediletto, si propagò fra gli oziosi ed il popolo minuto udì narrare del suo famoso bastone d'avorio candido luccicante di turchesi e della acconciatura neroniana dei suoi capelli. 

Il fondo di questo quadro smagliante era più misero di ciò che i borghesi immaginavano. Medaglie, trofei della gioventù accademica, salivano di quando in quando il sacro monte che ha il nome di pietà; e la giovane moglie dell'epigrammatico dovette qualche volta farsi prestare da una vicina il danaro per un paio di scarpe. Il Wilde si vide costretto ad accettare il posto di direttore di un giornale molto insulso; e solo colla rappresentazione delle sue commedie brillanti egli entrò nella breve fase penultima della sua vita: il lusso e la ricchezza. Il "Ventaglio di Lady Windermere" prese Londra d'assalto. Il Wilde, entrando in quella tradizione letteraria di commediografi irlandesi che si stende dai giorni di Sheridan e Goldsmith fino a Bernard Shaw, diventò, al par di loro, giullare di corte per gli inglesi. Diventò un arbitro d'eleganze nella metropoli e la sua rendita annua, provento dei suoi scritti, raggiunse quasi il mezzo milione di franchi. Sparse il suo oro fra una sequela di amici indegni. Ogni mattina acquistò due fiori costosi, uno per sé, l'altro per il suo cocchiere; e persino il giorno del suo processo clamoroso si fece condurre al tribunale nella sua carrozza a due cavalli col cocchiere vestito di gala e collo staffiere incipriato. 

La sua caduta fu salutata da un urlo di gioia puritana. Alla notizia della sua condanna la folla popolare, radunata dinanzi al tribunale, si mise a ballare una pavana sulla strada melmosa. I redattori dei giornali furono ammessi all'ispettorato ed, attraverso la finestrina della sua cella, poterono pascersi dello spettacolo della sua vergogna. Strisce bianche coprirono il suo nome sugli albi teatrali; i suoi amici lo abbandonarono; i suoi manoscritti furono rubati mentre egli, in prigione, scontava la pena inflittagli di due anni di lavori forzati. Sua madre morì sotto un nome d'infamia: sua moglie morì. Fu dichiarato in istato di fallimento, i suoi effetti furono venduti all'asta, i suoi figli gli furono tolti. Quando uscì di carcere i teppisti sobillati dal nobile marchese Queensberry l'aspettavano in agguato. Fu cacciato, come una lepre dai cani, da albergo in albergo. Un oste dopo l'altro lo respinse dalla porta, rifiutandogli cibo ed alloggio, e al cader della notte giunse finalmente sotto le finestre di suo fratello piangendo e balbettando come un fanciullo. 

L'epilogo volse rapidamente alla sua fine e non vale la pena di seguire l'infelice dalla suburra napoletana al povero albergo nel quartiere latino, ove morì di meningite nell'ultimo mese dell'ultimo anno del secolo decimonono. Non vale la pena di pedinarlo come fecero le spie parigine: morì da cattolico romano, aggiungendo allo sfacelo della sua vita civile la propria smentita della sua fiera dottrina. Dopo aver schernito gli idoli del foro, piegò il ginocchio, essendo compassionevole e triste chi fu un giorno cantore della divinità della gioia: e chiuse il capitolo della ribellione del suo spirito con un atto di dedizione spirituale. 

Questo non è il luogo di indagare lo strano problema della vita di Oscar Wilde né di determinare fino a che punto l'atavismo e la forma epilettoide della sua nevrosi possano scagionarlo di ciò che a lui si imputò. Innocente o colpevole che fosse delle accuse mossegli, era indubbiamente un capro espiatorio. 

La sua maggior colpa era quella di aver provocato uno scandalo in Inghilterra; ed è ben noto che l'autorità inglese fece il possibile per indurlo a fuggire prima di spiccare contro di lui un mandato di cattura. A Londra sola, dichiarò un impiegato del ministero dell'interno, durante il processo, più di ventimila persone sono sotto la sorveglianza della polizia, ma rimangono a piede libero fintantoché non provochino uno scandalo. Le lettere di Wilde ai suoi amici furono lette dinanzi alla Corte ed il loro autore venne denunziato come un degenerato, ossessionato da pervertimenti erotici. "Il tempo guerreggia contro di te; è geloso dei tuoi gigli e delle tue rose." "Amo vederti errare per le vallate violacee, fulgido colla tua chioma color miele." Ma la verità è che Wilde, lungi dall'essere un mostro di pervertimento sorto in modo inesplicabile nel mezzo della civiltà moderna d'Inghilterra, è il prodotto logico e necessario del sistema collegiale ed universitario anglosassone, sistema di reclusione e di segretezza. L'incolpazione del popolo procedeva da molte cause complicate; ma non era la reazione semplice di una coscienza pura. 

Chi studi con pazienza le iscrizioni murali, i disegni franchi, i gesti espressivi del popolo, esiterà a crederlo mondo di cuore. 

Chi segua dal di presso la vita e la favella degli uomini, sia nello stanzone dei soldati, che nei grandi uffici commerciali, esiterà a credere che tutti coloro che scagliarono pietre contro il Wilde furono essi stessi senza macchia. Difatti ognuno si sente diffidente nel parlare con altri di questo argomento, temendo che forse il suo interlocutore ne sappia più di lui. L'autodifesa di Oscar Wilde nello "Scots Observer" deve ritenersi valida dinanzi alla sbarra della critica spassionata. Ognuno, scrisse, vede il proprio peccato in Dorian Gray (il più celebre romanzo di Wilde). Quale fu il peccato di Dorian Gray nessun lo dice e nessun lo sa. Chi lo scopre l'ha commesso. 

Qui tocchiamo il centro motore dell'arte di Wilde: il peccato. Si illuse credendosi il portatore della buona novella di un neopaganesimo alle genti travagliate. Mise tutte le sue qualità caratteristiche, le qualità (forse) della sua razza, l'arguzia, l'impulso generoso, l'intelletto asessuale al servizio di una teoria del bello che doveva, secondo lui, riportare l'evo d'oro e la gioia della gioventù del mondo. Ma in fondo in fondo se qualche verità si stacca dalle sue interpretazioni soggettive di Aristotele, dal suo pensiero irrequieto che procede per sofismi e non per sillogismi, dalle sue assimilazioni di altre nature, aliene dalla sua, come quelle del delinquente e dell'umile, è questa verità inerente nell'anima del cattolicesimo: che l'uomo non può arrivare al cuor divino se non attraverso quel senso di separazione e di perdita che si chiama peccato. 

Nell'ultimo suo libro "De Profundis", si inchina davanti ad un Cristo gnostico, risorto dalle pagine apocrife della "Casa dei melograni" ed allora la sua vera anima, tremula, timida e rattristata, traluce attraverso il manto di Eliogabalo. La sua leggenda fantastica, l'opera sua, una variazione polifonica sui rapporti fra l'arte e la natura anziché una rivelazione della sua psiche, i libri dorati, scintillanti di quelle frasi epigrammatiche che lo resero, agli occhi di alcuno, il più arguto parlatore del secolo scorso, sono ormai un bottino diviso. 

Un versetto del libro di Giobbe è inciso sulla sua pietra sepolcrale nel povero cimitero di Bagneux. Loda la sua facondia, "eloquium suum", il gran manto leggendario che è ormai un bottino diviso. Il futuro potrà forse scolpire là un altro verso, meno altiero, più pietoso: "Partiti sunt sibi vestimenta mea et super vestem meam miserunt sortes”.

James Joyce 

mercoledì 14 novembre 2012

Il compleanno di Dorian Gray

Meno un altro romanzo (il numero 24) della nostra lista! 

Leggere “Il ritratto di Dorian Gray” subito dopo “Delitto e castigo”, è come aver seguito lo stesso filo conduttore… Forse non è stato un caso, anche se non da me pensato.

Invece, ho pensato: accidenti, quant'è inglese!
Il modo di discutere dei protagonisti, è molto inglese. Riuscivo ad immaginarne anche l’accento.

Alla fine del romanzo, ci sono una decina di pagine bianche predisposte per le annotazioni, così come in esse è scritto; e le ho utilizzate man mano che mi venisse in mente qualcosa, così ora le seguirò per scrivere questo post con ciò che ho provato leggendo il romanzo di Wilde, o descrivendo alcune delle cose provate. 

La prima cosa pensata è: “Nessuno può influenzarti in niente, se non c’è già in te tal pensiero”. Questo è un concetto in cui già in passato mi sono imbattuta. La mia professoressa di Letteratura Inglese in “Cinema, Teatro e Musica” (che vestiva esattamente come un inglese del diciannovesimo secolo!) ci “costrinse” a studiare per l’esame un libro che aveva scritto e che pochissimo, se non niente, avesse a che fare con la materia che insegnava. La materia consisteva di per sé nei famosi sonetti di Shakespeare (ed io adoro Will e ancor di più i suoi sonetti!); il suo libro doveva servire ad interpretarli, o meglio, noi dovevamo leggerli e studiarli sotto la luce delle sue teorie. Beh, non erano totalmente campate in aria, anzi, in linea di massima credo fosse proprio come le descrivesse, soltanto che seguendo il filo del suo ragionamento era un’ipocrisia che noi non obiettassimo alla sua “orazione”. Così, un giorno, espressi un dubbio, un “secondo me” che non le piacque, anzi, “secondo lei” non ci capivo niente mettendo in dubbio qualcosa di assolutamente certo e vero, ovvero “il suo pensiero”. Non me la presi, perché la sua reazione confermò il mio dubbio ma rese veritieri i pensieri nel suo libro che lei non eseguiva però nella realtà: nessuno può influenzarti in niente, se non c’è già in te tal pensiero. Lei voleva influenzare la classe, ma io non ero nella predisposizione d’animo per farmi influenzare… ma non è che ne fossi immune, non lo ero solamente per quel determinato argomento. Comunque, era talmente concentrata a dar ragione al suo testo, che finimmo per parlare poco di Shakespeare, ma più delle sue idee che dovevano servire per Letteratura Inglese e per molte altre interpretazioni, ma che finirono per divenire fini di se stessi. (Comunque, commetterei un'ingiustizia dicendo che il suo libro parlasse solo del pensiero sopra espresso, era un po' più vasto e dettagliato, ma come sintesi, può andar bene quella frase). Dunque, seguendo questo ragionamento, l'Henry del romanzo di Wilde, non è colpevole delle decisioni di Dorian, perché in esso c'era già la voglia di seguire le sue "teorie"; Henry non avrebbe potuto spingerlo in nessuna direzione, se Dorian non avesse voluto già da prima di sentirle, come se cercasse qualcosa che facesse risuonare in sé pensieri su cui non voleva riflettere o non sapeva come fare. 

Le mie annotazioni del romanzo, proseguono così: “Il compleanno di Dorian è il 10 Novembre (e lo scopro al dodicesimo capitolo), ed è lo stesso giorno della mia decisione di legger di lui dopo “Delitto e Castigo", quando non avevo ancora terminato il secondo… E ne incominciai la lettura la sera dell’11 Novembre…”.
È un’altra coincidenza?
Non credo di saper credere alle coincidenze.

Il filo conduttore che lega il protagonista di “Delitto Castigo” a quello de “Il ritratto di Dorian Gray” è la “Coscienza”. Entrambi commettono un omicidio ed entrambi credono che sia l’orgoglio, unicamente l’orgoglio a muovere i loro passi, come anche pensano che soltanto il fallimento dell’orgoglio ferito metti in evidenza la coscienza, o qualcosa che le assomigli, che li faccia diventare paranoici e pazzi, che li faccia commettere errori… Dorian però mi appare peggiore di Raski. Raski non ci mette molto a rendersi conto dell’errore, ma non è questo... Entrambi sono dei poco più che ventenni. Raski commette subito lo sbaglio peggiore, Dorian ci arriva più tardi, ma nel frattempo forse fa peggio dello sbaglio peggiore; indurre al suicidio è peggio di uccidere materialmente? Soprattutto se il suicidio avviene in tuo amore o per l’influenza che su di esso hai esercitato? 

Capitolo quattordicesimo: “Ebbe la sensazione che se continuava a ruminare sull'accaduto avrebbe finito con l’ammalarsi o con l’impazzire. Il fascino di certi peccati risiede più nel ricordarli che nel commetterli; sono strani trionfi che soddisfano l’orgoglio più che le passioni e procurano all'intelletto una più vivace sensazione di gioia, più intensa di qualunque gioia che hanno procurato o che potrebbero procurare i sensi; ma questo non rientrava in quella categoria. Era una cosa che bisognava cacciare dalla mente, drogare con l’oppio, strangolare per non essere strangolati”. Raski e Dorian hanno la stessa reazione all'omicidio commesso, la loro psicologia è molto affine… E Dorian, ad un certo punto, rivolge la stessa domanda che anche Raski rivolge come una sorta di sfida: “Che diresti, Harry, se ti dicessi che Basil l’ho assassinato io?”. Harry non lo crede possibile, come non lo credevano per Raski, e questo quasi l’indispettisce di più. 

Le mie annotazioni proseguono così: “Le famose citazioni che circolano di Oscar Wilde, provengono quasi interamente da questo romanzo, ma prese separatamente da esso ne stravolgono il significato. Non sono corrette le affascinanti teorie di Henry alla luce di ciò che accade a Dorian, o comunque è scorretto l’uso che Dorian ne fa. Quanti Dorian ci sono in giro? Un romanzo va interpretato nel suo insieme. Troppi fraintendimenti da singole frasi! Ma se è vero che nessuno può influenzare alcuno, se le frasi che legge non sono già dentro di esso, allora semplicemente non si vuole guardare alla fine del racconto”. 

La fine di Dorian mi fa più piacere della fine di Raski. Se anche Raski fosse morto, mi sarebbe dispiaciuto. Non saprei esattamente la ragione, perché Dorian in qualche modo ha un motivo che lo spinge a commettere l’omicidio e in mezzo vi è la paura, Raski invece è soltanto spinto da una folle teoria, se pur mossa da alcuni pensieri “buoni”… Ecco, un’altra cosa che accomuna i due romanzi: le teorie! Teorie sulla vita che la portano all'autodistruzione.  Ma Raski, nonostante tutto, mi ha impietosito di più; forse perché è più umano… mentre Dorian è più fiabesco. 



lunedì 12 novembre 2012

Non esistono libri morali o libri immorali


Buongiorno bimbi artisti!
(sono stranamente costante: scrivo qui ogni giorno… o quasi!)
Dunque, dopo aver terminato il primo romanzo della nostra sfida, mi accingo alla lettura del prossimo che sarà il numero 24: IL RITRATTO DI DORIAN GRAY. La prefazione di Oscar Wilde al suo romanzo, mi è talmente piaciuta che ho deciso di riportarla qui per intero.

L’artista è il creatore di cose belle.
Rivelare l’arte e celare l’artista è la metà dell’arte.
Il critico è colui che può tradurre in maniera diversa o in un materiale nuovo l’impressione che le cose belle suscitano in lui. La più alta e la più bassa forma di critica sono entrambe una maniera di autobiografia.
Coloro i quali trovano nelle cose belle significati brutti sono corrotti senza essere attraenti. Questo è una colpa.
Coloro i quali trovano nelle cose belle significati belli sono persone colte. Per questi c’è speranza.
Gli eletti sono coloro per i quali le cose belle significano soltanto bellezza.
Non esistono libri morali o libri immorali. I libri sono o scritti bene o scritti male: nient’altro.
L’antipatia del XIX secolo verso il Realismo è la rabbia di Calibano che non vede nello specchio il proprio volto.
L’antipatia del XIX secolo verso il Romanticismo è la rabbia di Calibano che non vede nello specchio il proprio volto.
La vita morale dell’uomo costituisce per l’artista una parte del soggetto, o materia; ma la moralità dell’arte consiste nell'impiego perfetto di un mezzo imperfetto. Nessun artista desidera dimostrare alcunché. Anche le cose vere possono esser dimostrate.
Nessun artista prova simpatie di ordine etico. Una simpatia etica in un artista è un’imperdonabile affettazione stilistica.
Nessun artista è mai morboso. L’artista può esprimere qualsiasi cosa.
Pensiero e linguaggio sono per l’artista strumenti di un’arte. Vizio e virtù sono per l’artista materiale di un’arte.
Dal punto di vista della forma il prototipo di tutte le arti è l’arte del musicista. Dal punto di vista del sentimento il prototipo è l’arte dell’attore.
Tutta l’arte è a un tempo superficie e simbolo.
Colore che penetrano al di sotto della superficie lo fanno a proprio rischio e pericolo.
Coloro che interpretano il simbolo lo fanno a proprio rischio e pericolo.
È lo spettatore, non la vita, che l’arte, in realtà, rispecchia.
La divergenza di opinioni a proposito di un’opera d’arte dimostra che l’opera è nuova, complessa e vitale.
Allorché i critici son discordi, l’artista è d’accordo con se stesso.
Un uomo può esser perdonato se fa una cosa utile, a condizione che non l’ammiri. L’unica scusa per colui che fa una cosa inutile è che egli l’ammiri intensamente.
Tutta l’arte è perfettamente inutile. 

domenica 11 novembre 2012

Delitto e Castigo... un pretesto!

La storia, per l’autore, è un pretesto per esprimere uno o più pensieri su un determinato argomento. Il protagonista spesso non è il portatore di tale pensiero, ma lo sono i personaggi secondari, a volte anche i terziari, che appaiono per un solo capitolo e lì si svela il mistero. Capita che il protagonista non sia il buono, anche quando dice di esserlo, e che l’autore lo detesti persino, soprattutto se viene amato da chi lo legge; ma l’ha inventato lui, quindi lo odierà ed amerà, senza rimedio. La storia è un pretesto, per dire qualcosa. Per Dostoevskij sembra che la risposta sia l’amore: quando Svista perde la sua illusione e speranza d’amore, decide di togliersi la vita; e quando, invece, Raski trova e accetta l’amore, rinasce. La prigione non salva gli altri uomini da un assassino né i lavori forzati agiscono su di lui come un castigo che porta al pentimento; no, è solamente l’amore che riesce in questo, o meglio ancora, la speranza di avere questo amore. Raski cercava da sempre un pretesto per vivere, qualcosa per cui sopportare ogni sofferenza, perciò arrivò a compiere il delitto, perché in esso voleva dimostrare una sua certa “teoria”… Voleva dimostrare a se stesso che potesse uccidere senza rimorsi, perché stava uccidendo un “pidocchio” della società e la società intera ne avrebbe beneficiato; gli uomini d’ingegno devono per lo sviluppo dell’umanità compiere certi atti per migliorare tutto il resto. Raski però non riesce a mettere in pratica la sua teoria e, in fondo al cuore, lo sapeva fin dall’inizio che non sarebbe riuscito nel suo intento; ma non si pente. Raski non si pente mai del delitto che non considera un delitto, perché ha ucciso un “pidocchio” inutile della società; l’unico problema è che lui stesso è un pidocchio, dal momento che si domanda se la vecchia uccisa è davvero quel pidocchio che dovrebbe essere… Se si domanda ciò, non ha importanza se la vecchia è un pidocchio per la società, perché per lui, evidentemente, non lo è. Raski ha ventitré anni, come me, e decide di costituirsi solamente per orgoglio… ma forse lo fa per amore, quando ancora non sa che lo sta facendo per Sonia, o forse non vuole accettarlo. Non è pentito, ma adesso vuole ricominciare. Non cerca di difendersi e non tenta in nessun modo di diminuire la cattiveria della sua azione, ma ciò, paradossalmente, contribuisce a ridurgli la pena: otto anni in Siberia ai lavori forzati.
Una delle parti che più mi è piaciuta nel romanzo, è l’ultimo colloquio che Raski ha con il giudice istruttore, Pietro, che quasi mi ha commosso… Pietro mi sta simpatico anche se non riesco a capirne a fondo le ragioni… Pietro sa che è lui il colpevole e dice di averne finalmente anche le prove, ma vuole che sia Raski a costituirsi… Perché ha solo ventitré anni e la sua vita è ancora lunga. Perché può riscattarsi, ma per farlo deve tornare a credere nella vita… deve trovarsi una fede in cui vivere, un’idea, un principio, una ragione… E Raski ciò lo trova in Sonia e Sonia lo trova in lui.
Ma la storia di Raski e Sonia sembra più un pretesto per una critica nell'esecuzione della giustizia del tempo in cui visse Dostoevskij in Russia… C’è un personaggio con idee particolarmente moderne, che s’incontra soltanto in pochissimi capitoli verso la fine; è l’affittuario di Lupin (il quale, tra l’altro, esce vergognosamente di scena… sembra più meschino e cattivo Lupin di Raski che ha ucciso…). Di questo personaggio, parlerò un'altra volta... 
Raski, in fondo, è buono… Ha anche salvato due bambini da un incendio procurandosi delle gravi scottature, tempo prima dal commette il duplice omicidio. Raski non uccide per il denaro, il denaro è solo il pretesto; uccide per dimostrarsi che può farlo. Si pente solamente di non essere riuscito ad uccidere la vecchia, anche se materialmente lo ha fatto, in quel momento, lui, ha ucciso se stesso… Lui è andato nel panico e si è fatto sopraffare dall’azione commessa e, nonostante ciò che afferma incessantemente, questa non è la coscienza? Raski si convince che è l’orgoglio nella “missione” fallita, che lo ha portato alla sofferenza e alla confessione… ma perché ha fallito se non perché la sua coscienza non ha cominciato a tormentarlo? Una coscienza che ha cercato in un umano, ovvero in Sonia, che nonostante il suo “mestiere”, è la persona più credente e pura che s’incontra nel romanzo; ed è questo controsenso che smuove dei primi veri sentimenti in Raski.
Ho terminato la lettura meno di un’ora fa, precisamente, alle 13:03 (sapete che scrivo data e orario sul romanzo al termine di ogni lettura); e mi è piaciuto molto, ma non credo di averlo metabolizzato ancora a fondo. Nonostante mi fosse sembrata una lettura infinita, quando ho superato le trecento pagine mi è dispiaciuto che stesse per finire, ma ero ancora più volonterosa e incuriosita di arrivare all’ultima pagina, per sapere come finisse.
Ho scritto tanto seguendo solo il flusso dei pensieri, un po’ come faceva Raski durante i suoi mille deliri eheh E, perciò, non rileggerò! Ma devo concludere in qualche modo… dirò che, nonostante Dostoevskij presenti l’amore come la soluzione di ogni cosa, anche questo sembra più un pretesto letterario, per i fini del romanzo, che un suo vero pensiero… ma avrà acconsentito di concludere così la vicenda, perché le critiche le aveva già disseminate tra i vari capitoli, e, quindi, perché non crederci o sperarci che l’amore sia la soluzione di ogni cosa? Chi, in fondo, non ci spera? Persino, un assassino e una prostituta, abbandonati da tutti e tutto, o forse soltanto da se stessi... il che è anche peggio "se nessuno più mi amasse, sarebbe più facile", dice Raski pensando alla madre, alla sorella, all'amico, a Sonia e a molta altra gente...  quindi, perché non anche noi altri?


                                                                                                                                                          

giovedì 8 novembre 2012

Tutto ciò che ci divide è infinitamente meno importante del pericolo che ci unisce


Quali sono i vostri problemi oggi? Perché in ogni nuovo oggi insorgono nuovi problemi… Perciò, quali sono? Perché anche se non li conosco, anche se non ne parlate, so che c’è qualcosa, di più o meno grande, che vi tormenta…. Che poi è sempre qualcosa di grande per se stessi, non si può comparare con ciò che affligge gli altri. Sentite dirvi “oggi è stata una giornata lunga e pesante” e ripensate alla vostra volontà di raccontare i vostri di problemi, per esser di conforto a chi avete di fronte, a chi li sta già raccontando… e poi? “La tua giornata, invece?”, vi viene infine chiesto… E voi “come al solito”. Come al solito, divincolandosi con i piccoli e grandi problemi quotidiani… Tutti enormi, mentre li vivi; trascurabili, quando li ricordi.


Oggi, inizierò a commentare i romanzi della nostra lista: I 100 LIBRI CHE LEGGERE NON FA MALE.
Partirò dal numero 28: EVA di Peter Dickinson.

EVA è uno dei primi romanzi che ho letto, perciò questa pomeriggio scaverò a fondo nella memoria per rispolverare le sensazione che mi diede.
Tanto per cominciare, non è nella mia libreria (che peccato!). Lo presi dalla biblioteca comunale del mio paese, più o meno a caso. Credo avessi intorno agli 11/12 anni, perché ricordo che avevo da poco studiato Darwin alle scuole medie; in caso contrario, non avrei potuto capire certi passaggi di EVA.
EVA influenzò parecchio le mie letture future e, più in generale, la mia concezione sulla vita. Fu considerato da me, per moltissimo tempo, il romanzo preferito, e tutt’oggi rientra tra i miei favoriti.
Narra di una ragazzina che rimane paralizzata dopo un brutto incidente stradale. Siamo nel futuro e una scienza progredita sperimenta per la prima volta su di lei il trapianto del suo cervello nel corpo di uno scimpanzé… È un romanzo che fa molto riflettere sugli umani, sull’evoluzione, sulla medicina, sulla scienza, sulla vita e su chi si è. Credo che tutti gli adulti dovrebbero leggerlo, come si dice per tutti i buoni libri per ragazzi. Credo che io dovrei rileggerlo, perché è passato tanto tempo e probabilmente ne ricaverei riflessioni differenti. Forse lo farò presto…
EVA è una storia surreale ma ricordo di averla considerata anche terribilmente attuale e possibile; forse, non tanto per ciò che accade alla protagonista, ma per il contesto in cui cresce. Un’altra cosa che ricordo, è il mio primo disgusto nei riguardi della società umana e nel modo in cui stava concependo il mondo che la circondava, nonché la direzione che aveva intrapreso. Ad un certo punto del romanzo, i giovani organizzano suicidi di massa e gli adulti non sanno come fermarli e non comprendono il gesto; per un attimo, leggendolo, provai un senso di giustizia nei confronti delle altre specie esistenti sulla Terra (la cosiddetta, “selezione naturale”, l’evoluzione che trova sempre una via; in EVA, il suicidio di massa dei giovani era la via trovata alla sovrappopolazione della specie umana che aveva praticamente distrutto l’ecosistema della Terra e non solo).
EVA-bambina muore nell’esatto momento in cui il suo cervello lascia il proprio corpo umano, per diventare, ben presto, Eva-scimpanzé, ovvero la speranza di un’umanità migliore.

Vi lascio con alcune citazioni di Charles Darwin:

“Questa nostra terra, che un tempo ci sembrava infinitamente grande, deve essere considerata nella sua piccolezza. Viviamo in un sistema chiuso, dipendenti gli uni dagli altri e dipendenti tutti dalla terra stessa. Tutto ciò che ci divide è infinitamente meno importante del pericolo che ci unisce”.

“Una gran parte delle emozioni più complesse sono comuni agli animali più elevati ed a noi. Ognuno può aver veduto quanta gelosia dimostri il cane se il padrone prodiga il suo affetto ad un'altra creatura; ed io ho osservato lo stesso fatto nelle scimmie. Ciò dimostra che non solo gli animali amano, ma sentono il desiderio di essere amati”.

“L'uomo nella sua arroganza si crede un'opera grande, meritevole di una creazione divina. Più umile, io credo sia più giusto considerarlo discendente degli animali”.  


mercoledì 7 novembre 2012

Ingegno umano

Buon... aauf... gior... auf... no... aaaaauf!!
(buongiorno con sbadiglio, questa mattina... ho tanto tanto tanto sonno!).

Piove ma non c'é freddo. C'é questo desiderio in me, mentre sento piovere, in qualche angolo della mente riservato alla conservazione degli impulsi: piazzarmi al centro della strada, aprire le braccia e sollevare lo sguardo verso il cielo, e farmi bagnare dalle nuvole come sotto la doccia. Abbandonare l'obbligo di ripararsi sotto l'ombrello.

Questa sfida che mi sono lanciata sta già dando i suoi frutti: sono arrivata a pagina 270 di DELITTO E CASTIGO (mancano 142 pagine). 
Il capitolo quinto della parte quarta mi è piaciuto molto: riguarda un botta e risposta tra il giudice istruttore (che chiameremo, Pietro) e Raski, il nostro protagonista-assassino. E' interessante leggere dell'intelligenza dei due; del primo nel cercare di smascherare il secondo, e del secondo nel cercare di non tradirsi... 
Mi è quasi venuta voglia di sottopormi ad un interrogatorio per verificare quanto sia in grado di sostenerlo e di non tradirmi; mettere, insomma, alla prova la mia perspicacia... Forse, perché ha ragione Pietro, quando dice: "...voi siete giovane, siete, come si suol dire, un giovanotto di primo pelo, e perciò, come tutta la gioventù, apprezzate più d'ogni altra cosa l'ingegno umano. La brillante acutezza dell'intelligenza e le deduzioni astratte della ragione vi seducono...". 

Cetty (sì, avete ragione, oggi passo da un'argomento all'altro quasi senza logica), al precedente mio post, ha scritto un commento a proposito di un suo dipinto in un'occasione molto particolare... Nel frattempo che ne parli meglio lei e che fotografi il suo quadro, ho scovato una foto di lei (la ragazza seduta per terra) mentre lo dipinge. 


martedì 6 novembre 2012

Fuori... romanzo!

Bonjour, bimbi brutti!
(non è che si possono salutare sempre e solo i “belli”!)
Siccome il blog si chiama “civettando l’arte” e non “civettando i romanzi”, stamattina mi avventurerò in un’altra “arte”.
Ero indecisa tra la fotografia e la pittura, ho scelto la seconda per ridere assieme a voi... di me! (Farlo da sola, era noioso!). 
A luglio di quest’anno, è sorto in me il desiderio di dipingere su tela, perché non avevo mai provato prima e perché mi piace cimentarmi in cose nuove. Dunque, ho acquistato il materiale: tela, colori a tempera e pennelli… Già, qui, il primo errore: dovrò imparare a scegliere meglio i pennelli! Mentre dipingevo i peli sintetici dei pennelli – soprattutto di quello più grande – si sparpagliavano sulla tela! Già, il mio pennello perdeva i suoi peli, come io perdo i capelli dopo lo shampoo! Da lontano non si nota, ma avvicinandosi alla tela, si possono individuare chiaramente… E va beh, sarà particolare per questo: “ecco il mio quadro! Ho adoperato colori a tempera e peli sintetici di pennelli mai usati”.
Secondo problema, arrivato prima della perdita dei peli sintetici: cosa dipingere?
Ho abolito paesaggi vari e anche ritratti. Cercavo qualcosa che magari nella realtà non esistesse. Qualcosa che prendessi direttamente dalla mia fantasia, ma non era abituata a pensare in questi termini… E, alla fine, è riuscita in un compromesso: sempre i libri ci sono in mezzo!
Va bene, posto, dunque, il mio primo tentativo su tela! (Per i due amanti, mi sono ispirata ad una statua… sapete quale?).
Siate bimbi buoni, anche se brutti! 



PS (per il post poco più in basso): Cettyyyyy tu è da agosto che dici “sta arrivando Natale!”… è il tuo pensiero fisso… mmm che regali ti aspetti, eh!? :D

PS2 (sempre per il post poco più in basso): Grazie per la pubblicità!!! (leggetemi, se vi va, tra un break e l’altro, tra i 100 e poco più veri classici che vi consiglio nuovamente!)  

lunedì 5 novembre 2012

Svista

Buongiorno mattinieri!
Io non lo sono, ma oggi mi è toccato esserlo. Quando ero una bambina mi svegliavo sempre presto la mattina, non riesco a capacitarmi di come ci riuscissi: sicuri che fossi io? Non è che sono stata scambiata con qualcun’altra, nel frattempo?
Però, sono sempre stata una “nottambula”. Mi svegliavo verso le due di notte, saltavo sul letto dei miei genitori, con una bambola o un peluche, esclamando: “Giochiamo!”. Per il resto, ero una brava e buona bambina… più o meno. È solo che mi annoiavo!
Dunque, ieri ho fatto qualche piccolo passo in avanti nella lettura di DELITTO E CASTIGO. Sono a metà del secondo capitolo della parte quarta. Ieri ho un po’ giocato con i nomi e la storia del romanzo, ma oggi sarò un po’ più seria: la psicologia dei personaggi, soprattutto del protagonista, è qualcosa d’incredibile. Nemmeno Freud avrebbe saputo fare di meglio! (Considerate, inoltre, che Dostoevskij nasce trentacinque anni prima di Freud e pubblica DELITTO E CASTIGO quando il secondo aveva appena dieci anni). Il delitto commesso potrebbe far pensare ad un “giallo”, ma è decisamente un romanzo psicologico; il che gioca a suo favore, perché li prediligo ai gialli. Anche se racconti gialli come quelli di Edgar Allan Poe, non sono carenti in questo, anzi… Ma ne parleremo meglio quando arriverò al numero a lui preposto nella nostra lista di letture per 365 giorni.
Raski è sempre più paranoico. Crede che tutti sappiano ciò che ha fatto e qualcuno lo sospetta per davvero, ma non ha prove. Da un lato si compiace della riuscita del suo piano e della sua intelligenza nel capire a volo le intenzioni del prossimo, in questo è davvero bravo; dall'altro lato è pentito, è distrutto, è ammalato… Alcuni cominciano a pensare che stia impazzendo e quasi lui vorrebbe che fosse così; a pagina 230, all’amico che cerca in tutti i modi di difenderlo da chi sospetta di lui, dice: “E chi lo sa! Forse io son pazzo davvero, e tutto quel che è accaduto in questi giorni, è stato un frutto della mia immaginazione…”; ma fantasia non è.
L’amico (che per i motivi di ieri, chiameremo Ramy) è un tipo leale e giusto. È indignato da chi ha osato sospettare dell’amico compiere un atto tanto malvagio, e per la prima volta dal giorno dell’omicidio, Raski incomincia a domandarsi cosa penserà Ramy di lui quando saprà ciò che ha fatto…

Introdurrò oggi un altro personaggio che – sempre per i soliti motivi – chiamerò Svista.
Svista aveva una moglie, chiamata da me Maria, che tempo addietro, prima del matrimonio, lo salvò da un’accusa di omicidio, pagando il riscatto e evitandogli la prigione in Siberia. La sorella di Raski, Dunja (questo è il suo vero nome!), era la domestica – o qualcosa del genere – in casa dei coniugi Maria e Svista. Svista si prese una bella cotta per lei e cercò di convincerla a scappare con lui. Lei si rifiutò. Maria scoprì tutto e si arrabbiò. In che modo e in quale scandalo la coinvolse, lo lascerò scoprire a voi! 
Dunja lasciò la casa, ma Maria, dopo aver capito che la colpa era solo di Svista, le trovò marito. Un suo parente, Lupin (nome scelto da me!), un signore molto ricco ma assai antipatico. Dunja lo sposerebbe solamente per la famiglia, per salvarli dalle difficoltà economiche. Questa decisione di Dunja, è la molla che spinge Raski a commettere l'omicidio che poi non servirà a salvare nessuno dai debiti… Comunque, questo Svista è arrivato a Pietroburgo per parlare con Raski e sperare d’incontrare Dunja, della quale, dice, non è più innamorato, infatti, si sta per sposare con un’altra ragazza (Maria, nel frattempo, è morta).
Svista, come anche Raski, non vuole che Dunja sposi Lupin per il denaro e vorrebbe dare a lei l’eredità ricevuta da Maria. Raski non vuole sentirlo parlare, è un tipo strano, lo trova anche più pazzo di lui, vede il fantasma di sua moglie che due volte soltanto – si "giustifica" – ha picchiato in vita… Tre volte, se contiamo una che dice che non conti granché…

Svista, a pagina 223, inizia a filosofeggiare:

“…Quel documento non mi dava fastidio. 

Non avevo voglia d’andare in nessun 

posto. Màrfa Petròva m’invitò un paio 

di volte a fare un viaggio all’estero, 

vedendo che m’annoiavo. Macché! 

All’estero c’ero già stato, 

e m’era venuto il disgusto. 

Guardi l’aurora che spunta,

il golfo di Napoli, il mare, 

e ti viene la malinconia. 

La cosa più uggiosa è la malinconia 

che t’assale senza che tu sappia 

il perché! 

No, nel proprio Paese si sta meglio; 

in patria si dà tutta la colpa agli altri 

e si trovano scuse davanti a se stesso…” 

domenica 4 novembre 2012

Il Bar Planetario


Salve amici e visitatori o soltanto noi due!
La mia sfida partirà dal numero 43 della nostra lista: I 100 LIBRI CHE LEGGERE NON FA MALE.
Il 43 è DELITTO E CASTIGO di M. Dostoevskij. Ad essere del tutto onesti, avevo iniziato a leggerlo da tempi non sospetti alla nostra sfida. È un romanzo che fatico a terminare. Non ricordo più quanto tempo fa l’ho iniziato, ma so che nel frattempo ho concluso la lettura di altri romanzi, almeno quattro… Direi, dunque, che è da troppo tempo che ha preso residenza sul mio comodino. Forse, è la volta buona che arrivo al The End!
Sono giunta a pagina 202 (all’incirca metà libro) e, fin qua, il protagonista non ha fatto altro che crogiolarsi sul suo duplice omicidio (d’altronde, se così non fosse stato, Fëdor non l’avrebbe chiamato “Delitto e Castigo”). Il protagonista, dal nome quasi impossibile (come, del resto, quasi tutti i personaggi del romanzo) che chiamerò, per abbreviazione, praticità e confidenza, Raski, ha da qualche pagina conosciuto una ragazza di cui sento che tra non molto s’innamorerà… e immagino che la vicenda si movimenterà (finalmente!).
La ragazza è molto giovane, come anche Raski che ha da poco abbandonato gli studi universitari. Si chiama Sonia (sempre per abbreviazione, praticità e confidenza) e per salvare la propria famiglia dai debiti, è stata costretta dalla matrigna a prostituirsi; ma il padre, del resto, non si è opposto.
Il padre è morto da non molti capitoli e Raski ha aiutato economicamente la famiglia a pagare il funerale e a dare da mangiare ai fratellastri di Sonia, nonostante egli stesso non fosse messo tanto meglio finanziariamente.
Raski aveva già incontrato, ad inizio romanzo, il padre di Sonia (che, per i motivi già citati, chiameremo Marmellata) e da lui aveva ascoltato la storia della figlia.
Marmellata era un uomo perennemente ubriaco e come Raski si crogiolava sui propri sensi di colpa senza far nulla in proposito. Di Marmellata vi parlerò riportandovi un famoso testo di Jerzy Grotoswkij, un direttore teatrale polacco, che fondò a Pontedera (PI) il più grande e famoso centro mondiale per la sperimentazione e la ricerca teatrale, il Workcenter of Jerzy Grotoswkij and Thomas Richards.


IL BAR PLANETARIO 

È UN POSTO 

MOLTO INTERESSANTE

…Per molta gente la vita di ogni giorno è come un enorme ristorante, o un bar dove ognuno cerca solamente qualcosa da bere, e attorno a questo c’è tutto uno psicodramma di paure e aspirazioni illusorie. Se non faccio ciò che è accettato è una catastrofe: cominciare a cenare in Francia con il formaggio, prima della minestra e della pietanza – un oltraggio! Accade lo stesso in teatro, quando un regista, invece di mettere in scena uno spettacolo dopo l’altro, dice: “No, non voglio continuare su questa strada”.
Oppure, mettiamo che si sia raggiunta una certa posizione; per quanto piacevole possa essere, là si è già raggiunta: aggrapparvisi è stupido, bisogna lasciare andare. Ma questo significa mangiare il formaggio prima della zuppa: il mondo si aspetta che uno rimanga aggrappato, queste sono le convenzioni e le illusioni del bar.
C’è chi piange, c’è chi dice di essere un fallito, molti sono ubriachi. Ognuno fa la sua confessione rivelando la propria nostalgia. Metà della creazione artistica moderna consiste in pianti di nostalgia condivisi con gli spettatori, nostalgia di un modo diverso di vivere, di una vita diversa.
Come Marmeladov in DELITTO E CASTIGO di Dostoevskij che, da ubriaco, dice che si sta bevendo tutto il denaro di famiglia, un pazzo che manda sua figlia sulla strada a vendersi. È tutto vero: si sta proprio bevendo il denaro di famiglia. Ciò che rivela è una grande nostalgia di una vita diversa. E questo momento Marmeladov rivede la sua nostalgia, ecco la creazione artistica corrente.
Tutti sono d’accordo sul fatto che deve cambiare. Marmeladov comincia la sua giornata bevendo, e rimane ubriaco, senza lasciare mai il bar: i momenti di ubriachezza e di sproloquio lo affrancano dallo sforzo di fare qualsiasi altra cosa.
Devi sapere come rompere con questa ubriachezza e ucciderla. O ammettere, come fanno molti, che è parte naturale della nostra esistenza. Perché per molti è naturale... Molti sono saggi e accettano; sono, dopo tutto, coloro che hanno costruito la nostra intera civiltà. Può anche non essere perfetta; o l’accetti o esci dal bar.
Ci vuole coraggio. Le volte che ne siamo usciti per cinque minuti per poi tornarci sono sempre state dei fallimenti... Spesso si può lasciare andare solo ciò che già si possiede.
Gandhi una volta disse che per non ricorrere alla violenza occorre essere capaci di violenza – perché altrimenti non è non-violenza, è solo mancanza di coraggio...
Abbi cura dei TUOI bisogni. Se hai bisogno di vivere ai margini della società, vivi pure ai margini, consapevolmente, senza pensare che sia una soluzione temporanea. (Per me, personalmente, non è affatto questa la strada. Penso che si debba vivere nel cuore stesso della strada e poi, quando lo si desidera, voltarsi verso i margini). Se stai costantemente ai margini, non avere rimpianti, non pensare: “Non posso vivere come hanno vissuto i miei genitori, vorrei vivere in un modo diverso; lo farò per tre o quattro anni e poi mi rimetterò a vivere come loro”.
Molto strano!
In questo caso, non è meglio allora competere con il buon esempio dei tuoi genitori e fare ciò che i tuoi genitori hanno sempre sognato ma mai osato fare?
Ciò che è essenziale, è se entri nel bar come Marmeladov oppure semplicemente con un po’ di senso dell’umorismo, con un po’ di curiosità. Il bar planetario è un posto molto interessante: fatti un bicchiere e diventane parte. Vivi fuori dal bar. Ritornarci? 

sabato 3 novembre 2012

Inizia la Sfida

Buongiorno amici e visitatori o soltanto noi due!
Noi due siamo, io (Rosy) e lei (Cetty).
Io e lei abbiamo deciso di aprire questo blog dopo aver visto “JULIE & JULIA”, un film del 2009 di Nora Ephron. È tratto da due storie vere. C’è Julie Powell che vorrebbe diventare una scrittrice (chi mi conosce, sa bene che è facile per me rispecchiarmi in lei), ma non trova un editore. Julie è di New York e nel 2002 decide di aprire un blog e, nel contempo, di lanciarsi una sfida: cucinare, nell’arco di un anno, le 524 ricette di un famoso libro di cucina di Julia Child.  
Julia pubblicò il suo libro di cucina francese, scritto in lingua inglese per le casalinghe americane, nel 1961, con due amiche e colleghe, dopo una serie di vicissitudini (se vi siete incuriositi e volete sapere come va a finire il film, vi toccherà guardarlo!).
Abbiamo deciso di lanciarci anche noi una sfida, ma non di cucina, bensì di lettura. Tra le pagine di questo blog, ne troverete una intitolata “I 100 libri che leggere non fa male” (una rivisitazione del tutto personale di due famose classifiche di romanzi da dover assolutamente leggere).
Ecco, noi non crediamo che questi siano i romanzi migliori attualmente in circolazione, ma non potevamo stilare una lista infinita! In ogni modo, pensiamo che i 100 e poco più romanzi della nostra lista, facciano sicuramente parte dei migliori romanzi scritti sinora.
Prima di lanciare la sfida, vi racconterò alcune motivazioni che mi hanno spinta ad aprire INDIRIZZO ISY.  
Uno dei miei sogni nel cassetto, è quello di aprire un Café Letterario. Recentemente mi ero messa d’impegno per riuscirci. Il luogo lo avevo; il business plan, anche; e una dozzina di altre idee per tenerlo in vita in crescente aumento sul pc, non mancavano; ma occorreva altro. Purtroppo, attualmente non ho il denaro necessario per avviarlo e i fondi della Regione per nuove attività giovanili, riguardano perlopiù altri campi… Insomma, al massimo mi avrebbero concesso 30mila euro, ma con questi potrei acquistarci non più di due scaffali di libri. Comunque, si è pensato: perché lasciar “ammuffire” quella dozzina di idee depositate sul pc? Perché non modellarle per questo blog?
Ed eccoci qua.
I 100 LIBRI CHE LEGGERE NON FA MALE, facevano parte di una di quelle idee… anche se, ovviamente, impostati e con un fine leggermente diverso. 

Dunque, basta con le chiacchiere, la nostra sfida è la seguente:
365 GIORNI E 100 (e poco più) ROMANZI DA LEGGERE.

Ogni volta che termineremo uno di questi romanzi, lo commenteremo su INDIRIZZO ISY.
Chi si vuole unire alla sfida è il benvenuto!
(Sono quasi certa, che siano titoli facilmente reperibili in una qualsiasi biblioteca comunale).

Cominciamo.
Io, Rosy, ho letto per intero i seguenti testi/punti, e il mio attuale punteggio, pertanto, é di: 18 punti 
La mia sfida inizia oggi
03/11/2012
e terminerà il
03/11/2013
Auguratemi “in bocca al lupo”!

3. IL NOME DELLA ROSA, Umberto Eco1 punto  
5. IL SIGNORE DEGLI ANELLI, J.R.R. Tolkien (la trilogia): 3 punti  
- LA COMPAGNIA DELL'ANELLO  
- LE DUE TORRI 
 - IL RITORNO DEL RE 
 11. IL PICCOLO PRINCIPE, Antoine De Saint-Exupery 1 punto 
17. IL FU MATTIA PASCAL, Luigi Pirandello 1 punto 
28. EVA, Peter Dickinson 1 punto 
31. ORGOGLIO E PREGIUDIZIO, Jane Austen 1 punto 
32. CIME TEMPESTOSE, Emily Brontë1 punto 
40. UNO, NESSUNO E CENTOMILA, Luigi Pirandello 1 punto 
47. IL CACCIATORE DI AQUILONI, Khaled Hosseini 1 punto 
52. I DOLORI DEL GIOVANE WERTHER, J. W. Goethe 1 punto 
53. IL GABBIANO JONATHAN LIVINGSTON, Richard Back 1 punto 
55. IL MALATO IMMAGINARIO, Molière 1 punto 
69. IL VECCHIO E IL MARE, Ernest Hemingway 1 punto 
71. IL FANTASMA DELL'OPERA, Leroux Gaston 1 punto 
82. KITCHEN, Banana Yoshimoto 1 punto 
90. IL GIORNO DELLA CIVETTA, Leonardo Sciascia 1 punto