mercoledì 14 novembre 2012

Il compleanno di Dorian Gray

Meno un altro romanzo (il numero 24) della nostra lista! 

Leggere “Il ritratto di Dorian Gray” subito dopo “Delitto e castigo”, è come aver seguito lo stesso filo conduttore… Forse non è stato un caso, anche se non da me pensato.

Invece, ho pensato: accidenti, quant'è inglese!
Il modo di discutere dei protagonisti, è molto inglese. Riuscivo ad immaginarne anche l’accento.

Alla fine del romanzo, ci sono una decina di pagine bianche predisposte per le annotazioni, così come in esse è scritto; e le ho utilizzate man mano che mi venisse in mente qualcosa, così ora le seguirò per scrivere questo post con ciò che ho provato leggendo il romanzo di Wilde, o descrivendo alcune delle cose provate. 

La prima cosa pensata è: “Nessuno può influenzarti in niente, se non c’è già in te tal pensiero”. Questo è un concetto in cui già in passato mi sono imbattuta. La mia professoressa di Letteratura Inglese in “Cinema, Teatro e Musica” (che vestiva esattamente come un inglese del diciannovesimo secolo!) ci “costrinse” a studiare per l’esame un libro che aveva scritto e che pochissimo, se non niente, avesse a che fare con la materia che insegnava. La materia consisteva di per sé nei famosi sonetti di Shakespeare (ed io adoro Will e ancor di più i suoi sonetti!); il suo libro doveva servire ad interpretarli, o meglio, noi dovevamo leggerli e studiarli sotto la luce delle sue teorie. Beh, non erano totalmente campate in aria, anzi, in linea di massima credo fosse proprio come le descrivesse, soltanto che seguendo il filo del suo ragionamento era un’ipocrisia che noi non obiettassimo alla sua “orazione”. Così, un giorno, espressi un dubbio, un “secondo me” che non le piacque, anzi, “secondo lei” non ci capivo niente mettendo in dubbio qualcosa di assolutamente certo e vero, ovvero “il suo pensiero”. Non me la presi, perché la sua reazione confermò il mio dubbio ma rese veritieri i pensieri nel suo libro che lei non eseguiva però nella realtà: nessuno può influenzarti in niente, se non c’è già in te tal pensiero. Lei voleva influenzare la classe, ma io non ero nella predisposizione d’animo per farmi influenzare… ma non è che ne fossi immune, non lo ero solamente per quel determinato argomento. Comunque, era talmente concentrata a dar ragione al suo testo, che finimmo per parlare poco di Shakespeare, ma più delle sue idee che dovevano servire per Letteratura Inglese e per molte altre interpretazioni, ma che finirono per divenire fini di se stessi. (Comunque, commetterei un'ingiustizia dicendo che il suo libro parlasse solo del pensiero sopra espresso, era un po' più vasto e dettagliato, ma come sintesi, può andar bene quella frase). Dunque, seguendo questo ragionamento, l'Henry del romanzo di Wilde, non è colpevole delle decisioni di Dorian, perché in esso c'era già la voglia di seguire le sue "teorie"; Henry non avrebbe potuto spingerlo in nessuna direzione, se Dorian non avesse voluto già da prima di sentirle, come se cercasse qualcosa che facesse risuonare in sé pensieri su cui non voleva riflettere o non sapeva come fare. 

Le mie annotazioni del romanzo, proseguono così: “Il compleanno di Dorian è il 10 Novembre (e lo scopro al dodicesimo capitolo), ed è lo stesso giorno della mia decisione di legger di lui dopo “Delitto e Castigo", quando non avevo ancora terminato il secondo… E ne incominciai la lettura la sera dell’11 Novembre…”.
È un’altra coincidenza?
Non credo di saper credere alle coincidenze.

Il filo conduttore che lega il protagonista di “Delitto Castigo” a quello de “Il ritratto di Dorian Gray” è la “Coscienza”. Entrambi commettono un omicidio ed entrambi credono che sia l’orgoglio, unicamente l’orgoglio a muovere i loro passi, come anche pensano che soltanto il fallimento dell’orgoglio ferito metti in evidenza la coscienza, o qualcosa che le assomigli, che li faccia diventare paranoici e pazzi, che li faccia commettere errori… Dorian però mi appare peggiore di Raski. Raski non ci mette molto a rendersi conto dell’errore, ma non è questo... Entrambi sono dei poco più che ventenni. Raski commette subito lo sbaglio peggiore, Dorian ci arriva più tardi, ma nel frattempo forse fa peggio dello sbaglio peggiore; indurre al suicidio è peggio di uccidere materialmente? Soprattutto se il suicidio avviene in tuo amore o per l’influenza che su di esso hai esercitato? 

Capitolo quattordicesimo: “Ebbe la sensazione che se continuava a ruminare sull'accaduto avrebbe finito con l’ammalarsi o con l’impazzire. Il fascino di certi peccati risiede più nel ricordarli che nel commetterli; sono strani trionfi che soddisfano l’orgoglio più che le passioni e procurano all'intelletto una più vivace sensazione di gioia, più intensa di qualunque gioia che hanno procurato o che potrebbero procurare i sensi; ma questo non rientrava in quella categoria. Era una cosa che bisognava cacciare dalla mente, drogare con l’oppio, strangolare per non essere strangolati”. Raski e Dorian hanno la stessa reazione all'omicidio commesso, la loro psicologia è molto affine… E Dorian, ad un certo punto, rivolge la stessa domanda che anche Raski rivolge come una sorta di sfida: “Che diresti, Harry, se ti dicessi che Basil l’ho assassinato io?”. Harry non lo crede possibile, come non lo credevano per Raski, e questo quasi l’indispettisce di più. 

Le mie annotazioni proseguono così: “Le famose citazioni che circolano di Oscar Wilde, provengono quasi interamente da questo romanzo, ma prese separatamente da esso ne stravolgono il significato. Non sono corrette le affascinanti teorie di Henry alla luce di ciò che accade a Dorian, o comunque è scorretto l’uso che Dorian ne fa. Quanti Dorian ci sono in giro? Un romanzo va interpretato nel suo insieme. Troppi fraintendimenti da singole frasi! Ma se è vero che nessuno può influenzare alcuno, se le frasi che legge non sono già dentro di esso, allora semplicemente non si vuole guardare alla fine del racconto”. 

La fine di Dorian mi fa più piacere della fine di Raski. Se anche Raski fosse morto, mi sarebbe dispiaciuto. Non saprei esattamente la ragione, perché Dorian in qualche modo ha un motivo che lo spinge a commettere l’omicidio e in mezzo vi è la paura, Raski invece è soltanto spinto da una folle teoria, se pur mossa da alcuni pensieri “buoni”… Ecco, un’altra cosa che accomuna i due romanzi: le teorie! Teorie sulla vita che la portano all'autodistruzione.  Ma Raski, nonostante tutto, mi ha impietosito di più; forse perché è più umano… mentre Dorian è più fiabesco. 



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