Una delle parti che più mi è piaciuta nel romanzo, è l’ultimo
colloquio che Raski ha con il giudice istruttore, Pietro, che quasi mi ha
commosso… Pietro mi sta simpatico anche se non riesco a capirne a fondo le
ragioni… Pietro sa che è lui il colpevole e dice di averne finalmente anche le
prove, ma vuole che sia Raski a costituirsi… Perché ha solo ventitré anni e la
sua vita è ancora lunga. Perché può riscattarsi, ma per farlo deve tornare a
credere nella vita… deve trovarsi una fede in cui vivere, un’idea, un principio, una ragione…
E Raski ciò lo trova in Sonia e Sonia lo trova in lui.
Ma la storia di Raski e Sonia sembra più un pretesto per una
critica nell'esecuzione della giustizia del tempo in cui visse Dostoevskij in
Russia… C’è un personaggio con idee particolarmente moderne, che s’incontra
soltanto in pochissimi capitoli verso la fine; è l’affittuario di Lupin (il
quale, tra l’altro, esce vergognosamente di scena… sembra più meschino e cattivo
Lupin di Raski che ha ucciso…). Di questo personaggio, parlerò un'altra volta...
Raski, in fondo, è buono… Ha anche salvato due bambini da un
incendio procurandosi delle gravi scottature, tempo prima dal commette il
duplice omicidio. Raski non uccide per il denaro, il denaro è solo il pretesto;
uccide per dimostrarsi che può farlo. Si pente solamente di non essere riuscito
ad uccidere la vecchia, anche se materialmente lo ha fatto, in quel momento,
lui, ha ucciso se stesso… Lui è andato nel panico e si è fatto sopraffare dall’azione
commessa e, nonostante ciò che afferma incessantemente, questa non è la
coscienza? Raski si convince che è l’orgoglio nella “missione” fallita, che lo
ha portato alla sofferenza e alla confessione… ma perché ha fallito se non perché
la sua coscienza non ha cominciato a tormentarlo? Una coscienza che ha cercato
in un umano, ovvero in Sonia, che nonostante il suo “mestiere”, è la persona
più credente e pura che s’incontra nel romanzo; ed è questo controsenso che
smuove dei primi veri sentimenti in Raski.
Ho terminato la lettura meno di un’ora fa, precisamente,
alle 13:03 (sapete che scrivo data e orario sul romanzo al termine di ogni
lettura); e mi è piaciuto molto, ma non credo di averlo metabolizzato ancora a
fondo. Nonostante mi fosse sembrata una lettura infinita, quando ho superato le
trecento pagine mi è dispiaciuto che stesse per finire, ma ero ancora più
volonterosa e incuriosita di arrivare all’ultima pagina, per sapere come
finisse.
Ho scritto tanto seguendo solo il flusso dei pensieri, un po’
come faceva Raski durante i suoi mille deliri eheh E, perciò, non rileggerò! Ma
devo concludere in qualche modo… dirò che, nonostante Dostoevskij presenti l’amore
come la soluzione di ogni cosa, anche questo sembra più un pretesto letterario,
per i fini del romanzo, che un suo vero pensiero… ma avrà acconsentito di
concludere così la vicenda, perché le critiche le aveva già disseminate tra i
vari capitoli, e, quindi, perché non crederci o sperarci che l’amore sia la
soluzione di ogni cosa? Chi, in fondo, non ci spera? Persino, un assassino e
una prostituta, abbandonati da tutti e tutto, o forse soltanto da se stessi... il che è anche peggio "se nessuno più mi amasse, sarebbe più facile", dice Raski pensando alla madre, alla sorella, all'amico, a Sonia e a molta altra gente... quindi, perché non anche noi
altri?
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